Scritto da Rachele Cervaro
Indonesia è una meta che ci ha affascinato fin dal primo momento. Un arcipelago immenso, pieno di contrasti, con isole così diverse che ognuna offre un’esperienza unica: dalle spiagge alle giungle, fino ai vulcani e alle città vibranti. Per noi, il viaggio in Indonesia è stato un tratto molto speciale del nostro giro del mondo, una combinazione perfetta di avventura, natura e cultura.
Durante il nostro soggiorno abbiamo visitato luoghi meno conosciuti e altri già diventati classici, ma tutti con una magia particolare. Questo diario raccoglie le nostre esperienze, consigli pratici e alcune curiosità che hanno reso ancora più speciali i nostri giorni in Indonesia. Dall’arrivo a Bali, alle immersioni tra i coralli e l’incontro con persone incredibili lungo il cammino, vogliamo condividere tutto quello che abbiamo imparato e vissuto in questo affascinante paese dell’Asia.
Ubud, alla scoperta dei templi Balinesi
Siamo arrivati al terzo continente di questo viaggio, l’Asia, e precisamente in Indonesia. Dopo 8 ore di volo e alcuni episodi di Mad Men, siamo arrivati all’aeroporto di Bali. Fatta la coda per pagare il visto, abbiamo preso un taxi fino alla vicina Kuta dove abbiamo trascorso la notte. Kuta è molto turistica, con una spiaggia enorme, molti backpackers e vita notturna. Ci siamo fermati il tempo necessario per comprare la Lonely Planet dell’Indonesia e dare un’occhiata alla spiaggia.
A Bali la forma più economica di muoversi è con i Bemo, furgoni che partono quando sono pieni, simili al Brasile. L’opzione più sicura è lo Shuttle Bus, che parte ad orari prestabiliti. Noi abbiamo preso uno con direzione Ubud. Arrivati ad Ubud, moltissime persone ci offrivano alloggio; abbiamo fatto slalom per lasciarli indietro. La strada è piena di voci che chiedono: “taxi? taxi?”, un po’ scocciante, ma basta dire di no.
A Bali non ci sono ostelli, ma “home stay”, case private con stanze per turisti e ingresso indipendente. Le case sono costruite attorno a un cortile interno e tutte le stanze danno sul cortile. Alla fine abbiamo trovato un alloggio ottimo, pulito e con acqua calda: Belos House in Jembawan Street 70, chiedere di Belos o Made. Ubud è turistica ma tranquilla; si pensa di restarci due giorni e se ne passano quattro. Molto felici per la sistemazione, siamo andati a mangiare in un Padang, dove il cibo indonesiano è esposto in vetrina e puoi scegliere. Il pomeriggio abbiamo visitato il tempio Pura Taman Saraswati, con un lago pieno di fiori di loto.
Il giorno successivo siamo andati a vedere la Monkey Forest, un bosco con vari templi e, come suggerisce il nome, molte scimmie. Ci siamo divertiti a osservarle mentre si accarezzavano, si pulivano a vicenda e si comportavano in famiglia; abbiamo persino visto una coppia accoppiarsi.
Da qui continuammo fino a Pemestanan per vedere i campi di riso. Qui i turisti sono pochi e la gente, soprattutto i bambini, molto curiosa. Abbiamo insegnato a pattinare a dei bambini piccoli con dei rollerblade e parlato con alcuni abitanti mentre osservavamo signore impegnate in lavori manuali con fiori, frutta e foglie di banano.
Il 30 settembre è la festa della luna piena, un evento molto importante a Bali. Tutti lavorano per prepararla. La sera abbiamo mangiato nuovamente cibo indonesiano, buono ed economico.
Il terzo giorno abbiamo affittato uno scooter (40.000 rupiah, circa 4 euro al giorno) e visitato i templi vicino a Ubud. A Tampaksiring ci sono due templi importanti: Gunung Kawi e Tirta Empul. Al Gunung Kawi abbiamo incontrato alcuni bambini che ci salutavano.
Ci è piaciuto di più il Tirta Empul, uno dei templi più importanti di Bali, conosciuto per le fonti d’acqua sotterranee ritenute magiche. Nella piscina molte persone pregavano e facevano il bagno. All’interno del tempio donne, uomini e bambini preparavano lavori manuali per la festa della luna piena.
A Bedulu si trovano il tempio Goa Gajah, con l’ingresso a forma di bocca di demone, e il Yeh Pulu, con un bassorilievo sulla vita quotidiana. Non ancora sazi di templi, siamo andati al Tanah Lot, un tempio sull’acqua accessibile solo con la bassa marea. Molto turistico, ma il tramonto dietro al tempio è spettacolare.
Il quarto e ultimo giorno, con la moto e Gábor ormai esperto nel traffico locale, siamo andati a nord fino a Bedugul per vedere il magnifico tempio Pura Ulun Danu Bratan, costruito su un’isola in mezzo al lago.
Finisce qui il nostro soggiorno a Ubud. Salutiamo Belos e Made e ci dirigiamo a Padang Bai.
Padang Bai ed il tempio più grande di Bali
Padang Bai è una cittadina sulla costa molto conosciuta perché da qui partono traghetti e barche veloci per Lombok e le isole Gilli.
Abbiamo trovato una sistemazione economica, dove il figlio del proprietario sapeva persino più di Gábor di calcio e soprattutto del Barça. Qui la gente è pazza per il Barça e si sveglia alle 2-3 del mattino per vedere le partite. Tutti hanno un motorino, anche i bambini più piccoli, e la moto è il principale mezzo di trasporto a Bali, capace di portare fino a 5 persone.
Il pomeriggio ci siamo rilassati. Il giorno dopo abbiamo noleggiato un motorino e siamo andati a Sidemen, lungo la Sidemen Road, una strada che attraversa risaie molto belle. Abbiamo proseguito fino in cima a una collina dove si trova il tempio più importante di Bali, Pura Besakih, un complesso di 50 ettari con molti templi; noi abbiamo visto solo i principali.
Proprio in quella domenica cadeva la festa della luna piena. I templi erano pieni di persone vestite in abiti tradizionali, che pregavano e portavano cibi, fiori e manufatti per essere benedetti dagli Dei.
Besakih è famosa per le persone che cercano di proporsi come guide ai turisti, dicendo che senza guida non si può entrare, ma basta non dar loro retta. Non abbiamo ancora visto i templi simbolo del Sudest Asiatico (come Borobudur a Java o Angkor Wat in Cambogia), ma questo posto ci è sembrato molto impressionante, con le montagne e le nuvole a rendere l’atmosfera mistica.
Proseguimmo fino a Tirtagangga. Il percorso è stato lungo, tra salite e discese, ma vedere le risaie a terrazza verdi in montagna ha ripagato ogni sforzo.
In tutta l’isola si celebrava la cerimonia della luna piena e lungo la strada abbiamo incontrato molte processioni verso i templi, con persone vestite in abiti tradizionali. Stanchi ma contenti, abbiamo festeggiato anche noi la luna piena, spendendo 5 euro per un piatto di calamari freschi.
Siamo arrivati a Padang Bai con l’idea di proseguire verso le isole Gilli, ma dopo aver parlato con altri viaggiatori abbiamo deciso di andare a Nusa Lembongan, un’isola a sud di Bali.
Nuotando con mante a Nusa Lembongan
Non è la prima volta in questo viaggio che cambiamo improvvisamente i piani: al posto delle isole Gili abbiamo deciso di andare a Nusa Lembongan. Ci siamo diretti a Sanur per prendere la barca, ma siccome era il giorno del silenzio (“silent day”) non si poteva né entrare né uscire dall’isola. Abbiamo quindi passato una notte a Sanur, simile a Kuta ma più cara, con spiaggia lunga, molti ristoranti e poche attrazioni. Abbiamo trovato una sistemazione economica ma non molto accogliente, con una proprietaria scortese.
La mattina presto abbiamo preso la barca pubblica per Lembongan. La definizione è un po’ ridicola: sulla barca c’erano solo stranieri e merci, mentre i locali usano barche veloci riservate a loro. Sulla barca abbiamo conosciuto Xavi e Sandra, una coppia simpatica di Lleida, vicino Barcellona. Con loro siamo andati ai bungalow Tropical Lembongan, consigliati da Bianca, una ragazza brasiliana incontrata giorni prima. I gestori dei bungalow erano molto simpatici e ci hanno fatto un buon prezzo, così abbiamo deciso di restare tutti e quattro. Il primo giorno abbiamo fatto solo una passeggiata e pranzato e cenato in alcuni ristoranti locali.
Nusa Lembongan non è molto grande, ma per arrivare all’altro lato dell’isola bisogna attraversare una montagna. Con il caldo abbiamo noleggiato uno scooter; qui non forniscono nemmeno il casco, e le strade malridotte impediscono di superare i 40 km/h. Accanto a Lembongan si trova Nusa Ceningan, raggiungibile tramite un ponte stretto dove due moto non possono incrociarsi. L’isola è abbastanza autentica; una delle zone più belle è la cala di Secret Beach, visibile dall’alto.
Siamo andati anche a vedere la Mushroon Beach e la Dream Beach. La prima era piena di barche, la seconda aveva una corrente molto forte, quindi siamo tornati al bungalow e abbiamo pranzato con Xavi e Sandra, che partivano il giorno successivo. Sulla via del ritorno ci siamo fermati a fotografare il porto dall’alto e, più tardi, siamo andati alla Mangrove Forest dove, con la bassa marea, si vedevano le radici degli alberi.
Visto il prezzo economico e i consigli di altri viaggiatori, abbiamo fatto un tour di snorkelling. Il mare era mosso ma il capitano tranquillo. Il primo punto è stato il Secret Manta Point, dove abbiamo visto due mante passare vicinissimo: impressionante, animali di oltre 1,5 metri di diametro.
Il secondo punto era il Wall Point, con coralli e pesci di mille colori, degni della Great Barrier Reef.
Subito dopo, il capitano ci ha invitato a tuffarci per una sorpresa: vicino a un’altra barca abbiamo visto enormi pesci neri, i Giant Belly Fish, alimentati dalle persone a bordo.
L’ultima nuotata è stata nella barriera di corallo della Mangrove Forest, molto bella ma meno spettacolare. Verso sera abbiamo visto il tramonto in spiaggia e, sorpresa, il vulcano più alto di Bali, normalmente nascosto dalle nuvole, era visibile.
Nusa Lembongan ci è piaciuta molto: pochi turisti, un ambiente locale autentico, snorkelling incredibile e bungalow perfetti. L’unico difetto era l’assenza di una spiaggia tranquilla senza barche. Dopo tre giorni lasciamo l’isola per tornare al piano originale.
Gili Meno, un’isola per rilassarsi
Dopo Lembongan abbiamo deciso di andare alle isole Gili. Da Padang Bai si può scegliere tra la barca veloce, piuttosto costosa e rischiosa con mare mosso, o l’opzione lenta, che include traghetto fino a Lembar a Lombok, bus fino a Bangsal e poi barca fino all’isola scelta. Siccome partivamo da Bali nel pomeriggio, abbiamo dovuto dormire a Senggigi, a metà strada tra Lembar e Bangsal.
Abbiamo comprato un pacchetto completo tramite un’agenzia locale: più economico e comodo che acquistare i tragitti separatamente. A Padang Bai in cinque minuti avevamo concluso tutto. Dopo due ore di ritardo, verso le 15.30, siamo partiti con il traghetto. Eravamo gli unici turisti e le cinque ore sembravano infinite. Alle 20.30 siamo arrivati a Lembar, dove i collaboratori dell’agenzia ci aspettavano, accompagnandoci fino a Senggigi. Abbiamo trovato un homestay semplice ma con un tetto sopra la testa. La cena in un ristorante quasi deserto ci ha riservato involtini primavera gratis, sconto del 10% e niente tasse aggiuntive: la bassa stagione si nota.
La mattina successiva l’agenzia ci ha portato al porto per raggiungere le isole Gili, acquistando anche il biglietto di ritorno con loro. Le isole Gili sono tre: Gili Air, Gili Trawangan (isola della festa) e Gili Meno (isola della luna di miele). Cercavamo tranquillità e Gili Meno è sembrata la scelta migliore. Durante la traversata abbiamo conosciuto una coppia di ragazzi tedeschi, con cui abbiamo condiviso alcune serate.
A Gili non ci sono strade, macchine o moto; solo biciclette, cavalli o a piedi. Durante la bassa stagione abbiamo trovato un bungalow nuovissimo con acqua potabile gratuita e colazione inclusa, senza internet: perfetto per staccare la spina.
Questi cinque giorni li abbiamo passati tra colazioni lente, snorkelling in due diverse barriere coralline, pranzi, relax in spiaggia e qualche film. Una vera vita da spiaggia.
Abbiamo trovato ristoranti economici con gazebo in spiaggia, così potevamo mangiare guardando il mare. Per lo snorkelling ci spostavamo a ovest per coralli e pesci colorati, a est per nuotare con le tartarughe marine.
Abbiamo visto coralli e pesci di mille colori e tartarughe marine incredibilmente amichevoli: si poteva nuotare accanto, sopra o sotto di loro.
La sera i ristoranti esponevano un grande tavolo con tutto il pesce del giorno. La cucina indonesiana ci piace molto: oltre ai classici Nasi Goreng (riso con verdure e uova) e Mie Goreng (noodles con verdure e uova), proviamo sempre piatti nuovi, soprattutto street food come Bakso (zuppa di noodles con polpette), Sate Ayam (spiedino di pollo con salsa di arachidi) e Mie Ayam (noodles con pollo in salsa di arachidi).
Cinque giorni davvero intensi e stressanti, hahaha… peccato siano finiti.
“Hello Mister”, “Hello Miss” benvenuti a Java
Al nono mese di viaggio, pensare che fossimo stanchi? Non ancora. Alle 7 del mattino eravamo già sulla spiaggia di Gili Meno. Dal porto di Bangsal abbiamo preso lo shuttle-bus per Lembar e giusto in tempo per il traghetto verso Padang Bai, Bali. Le quattro ore di viaggio sono volate grazie alla compagnia: una coppia catalana e Christelle, una ragazza francese. A Padang Bai siamo saliti sullo shuttle-bus per la stazione degli autobus di Denpasar. Non sapevamo se avremmo trovato un autobus notturno diretto per Malang, ma l’autista aveva già organizzato tutto e il costo finale non è stato alto. Durante la notte il bus ha attraversato il traghetto e abbiamo lasciato Bali per entrare a Java. Ci avevano detto che la cena era inclusa, ma dopo una giornata a base di cup noodles, non abbiamo visto nulla da mangiare e ci siamo addormentati. Alle 3.30 del mattino, sorpresa: la cena ci aspettava finalmente.
Vedere persone mangiare riso e pollo a quell’ora ci ha sorpreso, ma anche noi ci siamo uniti. Probabilmente anche loro avevano mangiato solo un cup noodle tutto il giorno. Dopo un cambio di autobus, alle 7 (in realtà le 6 locali) siamo arrivati a Malang. In totale 24 ore di viaggio senza contrattempi: fortuna!
Dopo un breve riposo, siamo andati a passeggiare per Malang, una città autentica con pochi turisti dove si percepisce la vita locale. Strade strette, fiori e traffico relativamente tranquillo. Per strada spesso si sente “Hello Miss” o “Hello Mister”, ragazzi che vogliono solo esercitare l’inglese e parlare di calcio. Java è prevalentemente musulmana, ma abbiamo visto moschee, un tempio buddista e anche chiese cattoliche. Dopo tanti giorni di cucina locale, siamo ceduti alla tentazione di un McDonald’s.
All’una di notte Santor, la nostra guida per il vulcano Bromo (in realtà autista), ci aspettava. Santor è un personaggio divertente e ci siamo fatti molte risate. Partiti durante la notte per vedere l’alba, ad un certo punto si è fermato in una stazione di servizio e ci siamo messi a dormire. Probabilmente abbiamo dormito un po’ troppo perché quasi ci siamo persi l’alba. Vedere il monte Bromo cambiare colore con il sorgere del sole è uno spettacolo unico.
Quando il sole era già alto abbiamo fatto una passeggiata di 45 minuti attraversando la valle per arrivare in cima al vulcano. C’era molta gente e molti salivano a cavallo sollevando polvere. La salita non era difficile e la vista del cratere è impressionante. Stranamente non si sentiva odore di zolfo nonostante il vulcano Bromo sia uno dei più attivi.
Al rientro Santor si è fermato più volte: una per fare colazione, un’altra per farci provare un mango dolcissimo da una venditrice ambulante, e alla fine siamo arrivati a casa di alcuni suoi amici che si incontrano due volte al mese per cantare e ballare. Noi eravamo tra i più giovani e Santor ci ha insegnato il chachacha indonesiano e altri balli tipici mentre Gábor filmava cercando di non muoversi troppo per le risate. Tutte le donne ridevano ogni volta che Santor parlava, sembravano adorarlo o prendevano in giro, non lo sapremo mai.
Da Malang siamo arrivati a Solo con il treno. Solo si trova al centro di Java, vicino a Yogyakarta. La classe turistica era confortevole, con aria condizionata e una hostess che serviva cibo a prezzi decenti. Arrivati alla stazione di Solo abbiamo preso il nostro primo “becak”, una specie di risciò, un’esperienza divertente nonostante il povero uomo sudasse sotto il peso dei nostri zaini.
Abbiamo trovato un alloggio basico ma confortevole e fatto una passeggiata lungo la strada principale, visto che Rachele aveva l’otite. La mattina seguente ci aspettava una colazione tipica indonesiana.
Dopo siamo passati rapidamente al mercato di batik, poi a mezzogiorno abbiamo preso un altro “becak” per tornare alla stazione dei treni. Ci stiamo abituando ai becak, è molto divertente anche se il povero conducente fa un gran lavoro sotto il sole.
Jogyakarta, nel cuore di Java
Gli ultimi sei giorni li abbiamo trascorsi a Jogyakarta, considerata la capitale culturale di Java. La città è ricca di monumenti, musei e vita nelle strade. È anche la più turistica dell’isola, perché unisce la modernità di una grande città con la tranquillità di una città non enorme come la capitale. Vicino a Jogyakarta, chiamata anche Jogya, si trovano i due templi più importanti di Java.
Siamo arrivati in treno da Solo e durante il viaggio abbiamo conosciuto uno studente universitario appassionato del Barça e curioso del nostro viaggio. Ci ha fatto mille domande e alla fine ha detto che vuole risparmiare per visitare l’Europa un giorno. Per noi non è nulla di straordinario, ma per loro rappresenta un sogno. Vicino alla stazione di Jogya si trova il quartiere di Sosrowijajan, con numerose opzioni di alloggio. Dopo aver girato per i vari gang, abbiamo scelto il Gang II all’hotel Andrea, gestito da un signore svizzero simpatico e giramondo come noi. Vent’anni fa decise di rimanere qui e oggi ha una famiglia. L’hotel è economico, pulito e comodo per far riposare Rachele, che soffriva di otite.
Jogya ci è piaciuta molto. Abbiamo passeggiato più volte lungo Malioboro Street, con bancarelle che preparano cibo e venditori di souvenir e batik. Il batik è un’arte tipicamente indonesiana che consiste nel dipingere a mano tessuti per abiti e altri oggetti. Qui si trova soprattutto batik prodotto in fabbrica, comunque interessante. L’edificio più importante è il Palazzo del Sultano, carino ma non imprescindibile.
Tra otite e un po’ di pigrizia, ci siamo dedicati alla cucina locale. Grazie a un consiglio di Andrea abbiamo scoperto un posto dove provare il Martabak, una torta salata fritta con ripieno, buonissima e non turistica. Nello stesso locale preparano anche il Terang Bulan, un dolce fresco farcito di cioccolato o altri ingredienti. Ne abbiamo approfittato più volte, aggiungendo un bel po’ di calorie al nostro viaggio!
Una mattina abbiamo dedicato la giornata ai templi. In groppa a uno scooter siamo partiti presto per Borobudur, il tempio buddista più grande del mondo, per evitare la folla. Arrivando presto abbiamo potuto visitarlo con pochi turisti. Il biglietto è costoso, ma il tempio è enorme e immerso nel verde tra colline, boschi e campi, davvero suggestivo.
Abbiamo esplorato anche i villaggi vicini e salito su una collina da cui si vede Borobudur dall’alto. Tornati a Jogya, siamo andati a vedere il tempio di Prambanan. L’ingresso è costoso, quindi abbiamo deciso di ammirarlo dall’esterno. Ci siamo spinti tra i villaggi e abbiamo trovato una collina che offriva una bella vista del complesso. Tornare a Jogya non è stato semplice, il traffico era intenso e alcune regole stradali rimangono misteriose.
A Jogya, come a Solo, la gente è molto gentile. Tutti ti salutano e si divertono a farsi fare foto con te, soprattutto con Rachele, che nonostante il dolore alle orecchie attirava comunque attenzioni. Abbiamo trascorso cinque notti in questa città, godendoci la tranquillità e l’andirivieni dalla terrazza del nostro hotel.
Jam-karta, con amici nella capitale
Dopo una notte trascorsa nel treno con un freddo polare a causa dell’aria condizionata a palla, cosa molto tipica in sud est asiatico, siamo arrivati a Giacarta, la capitale dell’Indonesia. Rachele l’anno scorso era stata qui ed aveva conosciuto Indah, una ragazza molto simpatica di couchsurfing. Indah ci presentò Asad che alla fine ci ospitò a casa sua. È stato un fine settimana molto divertente, abbiamo visitato la città in una maniera diversa; con amici. Dopo poche ore dal nostro arrivo eravamo già a Kota, nel centro storico di Giacarta (Jakarta). Siamo entrati al museo Wayang, il museo delle marionette, qui ci sono marionette provenienti da diversi paesi: Cina, Cambogia, Vietnam, Indonesia ed Europa, alcune delle quali spaventavano un po’.
In questo museo si trova un piccolo cortile con delle pareti molto carine in cui ci sono scritte un sacco di parole, che a dire di Asad era perfetto per fare una sessione di foto a Indah. Ad Asad piace molto fare foto e molte volte usa Indah come modella. Lei ormai è una professionista, si porta i vestiti, i cosmetici e sa perfettamente come posare. La seconda sessione fotografica è stata vicino ad un edificio dove se si vuole entrare a fare delle foto bisogna pagare molti soldi; noi abbiamo usato le pareti esterne.
La piazza principale del centro storico si chiama Taman Fatahillah, il sabato è piena di banchetti con moltissimi tipi di cibo diversi (che ovviamente non potevamo fare a meno di provare), di gente che vende scarpe ed altri articoli e di ragazzi e ragazze che vanno a fare fotografie; qui tutti hanno una macchina fotografica reflex: pazzesco!
Mentre passeggiavamo, ragazzi e ragazze ci hanno fermato più e più volte per farsi fare foto con Rachele che inizia a sentirsi come una modella in questo paese; speriamo che non si monti la testa.
La città di Giacarta è abbastanza, per non dire molto, caotica. I mezzi di trasporto pubblico non servono molto dato che c’è solo una linea di autobus e l’unica opzione nella maggior parte dei casi è prendere un taxi, che significa stare bloccati nel traffico un bel pezzo. Questo è il motivo per cui uno dei ragazzi la chiama “Jam-Karta” (Jam = traffico). Indipendentemente dell’ora il traffico è sempre bloccato ovunque, non si salva nessuno. La cosa si risolve solamente durante la notte, verso mezzanotte il traffico si dissolve e gli spostamenti diventano fluidi anche se comunque ci sono un sacco di mezzi motorizzati a tutte le ore.
La sera ci siamo trovati con alcuni amici di Indah ed Asad e siamo andati a cenare in un banchetto in strada, a noi piace molto il cibo dei banchetti e, dato che le sessioni di foto giornaliere non si potevano ancora dichiarare concluse, dopo cena siamo andati al Monas, il monumento principale ed il simbolo di Giacarta. Ce la siamo spassata facendo gli scemi e scattando foto con effetti di luce. Ci siamo divertiti un sacco, abbiamo riso moltissimo ed alla fine siamo anche riusciti a fare delle foto decenti.
Halloween si avvicina e qui ci si prepara con un po’ di anticipo. Nel centro commerciale Gran Indonesia un gruppo di truccatori ti trasformava in uno zombie in pochi minuti. La domenica pomeriggio l’abbiamo trascorsa qui, noi non ci siamo fatti truccare ma Indah e Asad sì. Meno male che non lo abbiamo fatto perché poi è stato abbastanza un casino togliere il trucco prima di andare in un posto molto inn. Per salutare l’Indonesia, Giacarta (per noi ormai Jamkarta) ed i nostri amici, siamo andati in un bar molto elegante che si chiama Sky che si trova al 57esimo piano di un grattacielo. Dalla terrazza si vede tutta la città dall’alto, molto bello ed anche molto caro, ma va bene: abbiamo condiviso una birretta e salutato questo fantastico paese.
Many thanks to Indah and Asad for your time and help and also to the other Jakarta CS members for the wonderful time.
Ritorno in Indonesia a Bukit Lawang
Da Melaka rientrammo a Kuala Lumpur giusto il tempo di fare una lavatrice e prendemmo il volo per Medan a Sumatra in Indonesia. Indonesia è uno dei paesi che preferiamo nel sud est asiatico perché la gente è gentile e sorridente. L’anno scorso abbiamo trascorso un mese meraviglioso tra Bali, Gili e Java. Questa volta siamo atterrati a Medan (una cittá caotica e poco gradevole) dove siamo rimasti solo un pomeriggio. Di Medan abbiamo visitato il centro commerciale vicino al hotel. Cose da non credere ma all’ultima piano coperto del centro commerciale c’è un luna park con le giostre grandi come quelle della sagra di San Martino a Piove di Sacco. Che forte!!!
Altre quattro ore di viaggio e finalmente arrivammo alla prima destinazione a Sumatra il paesetto di Bukit Lawang. Cosa ci sarà qui da vedere che vale tanto la pena fare tutta questa strada? In tutta Indonesia ci sono molti orang (uomini in indonesiano) ma qui nel parco naturale Gunung Leuser ci sono anche i tango= orango tango!!
Appena scesi dal van che ci ha portato fino a qui incontrammo una guida che ci accompagnò a piedi fino al paese di Bukit Lawang. Chi arriva fino a qui lo fa per fare un trekking nella giungla per vedere gli orango tango , una specie in pericolo di estinzione dato che il suo habitat naturale si sta riducendo drasticamente.
Ci sono molte guide che lavorano per l’organo che mantiene il parco ed ha un ufficio all’entrata del paese. Le guide che lavorano per questo ente sono certificate ed hanno un cartellino che lo attesta, sempre meglio chiedere di vederlo per essere sicuri. Le guide recuperano i turisti alla stazione degli autobus e gli accompagnano a cercare alloggio. Noi siamo stati al Wisma Leuser la prima notte, ma siccome c’erano degli animali che pungono nel letto e divorarono Rachele ci spostammo al Wisma Bukit Lawang Indah e perfetto.
Bukit Lawang è un paesetto vicino al fiume dove tutto trascorre tranquillamente i locali fanno la loro vita ed i turisti tanto locali come stranieri si rilassano ascoltando lo scorrere dell’acqua nel fiume che attraversa il paese.

Non potete perdere il prossimo post nel quale vi racconteremo il trekking di due giorni nella giungla e le nostre avventure con gli orango tango!!
Bukit Lawang a Sumatra – terra di orangotango
Il gruppo “spedizione giungla” era formato da Anelie, una ragazza Russa, Josh, del Galles, Sammy Francese (non può mai mancare un francese) e noi capitanati da due ragazzi locali Hendri soprannominato Mowgli e Visnu.
Iniziammo il trekking dalle piantagioni di gomma ed imparando alcune cose sulle piante locali. Dopo pochissimo che eravamo entrati nella giungla vedemmo il primo orangotango. Facciamo una piccola parentesi per spiegare una cosa fondamentale: nel parco ci sono orango tango selvaggi (che sono nati e cresciuti nella giungla) ed orango tango semi-selvaggi (che sono nati nella giungla ma che ad un certo punto della loro vita sono stati nel centro di riabilitazione). Normalmente nella selva vicino a Bukit Lawang gli adulti sono semi-selvaggi de hanno un nome mentre i piccolini sono selvaggi. Questo primo orangotango era adulto e selvaggio. Ci guardava con un aria di superficialità come se non gli importasse molto la nostra presenza. Rimanemmo li un po mentre Hendri ci spiegava molte cose.
Il successivo orango tango che conoscemmo fu Sandra, lei era sola, saltava da un albero all’altro e poi si mise a mangiare davanti a noi.

Quando stavamo a punto di fermarci per pranzare abbiamo conosciuto un altra mamma con il suo piccolo. Sembra che gli fossimo simpatici perché dopo pranzo vennero a farci visita giusto giusto per il caffè. Si avvicinarono moltissimo, arrivarono fino in cima alle nostre teste e ci guardavano dall’alto di un albero. Difficile dire se era più curiosa lei di noi o noi di lei. Si potrebbe rimanere tutto il giornoa guardarli, hanno espressioni molto simili agli esseri umani tanto che a volte sembrano persone.
Passeggiando per la giungla abbiamo visto anche un pavone molto grande e dirigendoci verso il luogo in cui avremo trascorso la notte facemmo la conoscenza della temuta Mina e tutta la sua famiglia. Mina è un orangotango molto famosa per essere aggressiva con le persone, ha morso già più di 60 persone. La ragione della sua aggressività è che ha avuto una brutta esperienza con un essere umano. Ad ogni modo se si seguono le istruzioni della guida non succede nulla. Lei conosce tutte le guide e loro conoscono lei e sanno come prenderla. Mina non è come gli altri orangotango che ti osservano dagli alberi, lei scende a terra. E’ impressionante vederla è alta circa un metro e venti y pesa più o meno 80 kg, bisogna stargli lontano perché è molto forte. Anche gli altri membri della famiglia, figli e nipoti (quando li incontrammo erano 6 orango tango grandi e piccoli in pochi metri) scendono a terra ma non appena gli si da un frutto tornano in cima all’albero. Le guide normalmente non danno frutta agli orango ma a Mina bisogna dargliela per tenerla buona. La vedemmo da circa 10 metri di distanza e quando Hendri ci fece segno corremmo all’altro lato mentre Visnu la intratteneva. Wow vedere un orango tango da così vicino è stato molto emozionante!!!

Sia la cena che il pranzo erano buonissimi! Pranzammo con un nasi goreng (riso fritto con verdure) e moltissima frutta e cenammo un sacco di curry di pollo e verdura . Con la quantità di cibo che ci prepararono si potevano sfamare altre tre persone. Perfino la colazione è stata sorprendente, un club sandwich con uova, verdure e spezie!!
Dopo cena ci siamo messi vicino al fuoco e Visnu de Hendri ci insegnarono un sacco di trucchi con le carte e ci fecero fare giochi di matematica e logica… la verità è che abbiamo sudato un bel po’ per risolverli. Ci siamo divertiti moltissimo ed abbiamo riso un sacco!!!
La mattina quando ci siamo svegliati c’erano un centinaio di scimmie negli alberi attorno a noi e tutti stavano facendo sesso. Sapete che i macachi fanno sesso circa 25 volte al giorno?
Per la seconda giornata di trekking toccava rafting. Le guide ci chiesero se volessimo andare a camminare un po’ di più nella giungla prima del rafting; ovviamente accettammo. Con Sammy e Visnu fummo a camminare mentre l’altra coppia con Hendri si diressero verso il punto di partenza del rafting lungo il fiume.
La camminata nella giungla consisteva in una salita che bisogna scalare ed una discesa molto ripida. Ad un certo punto abbiamo odorato orangotango, si perché si sente il loro odore a distanza. Visnu ed Hendri ci hanno insegnato come fare ad odorarli e… dopo un minuto apparse Pessek con i suoi due bambini. Pessek come Mina scende a terra e Visnu le dette un po’ di frutta, ci disse che a volte diventa aggressiva ma che normalmente con un frutto si accontenta, a differenza di Mina.

Mangiammo noodles e ci preparammo per scendere a Bukit Lawang attraverso il fiume. Il rafting qui si fa su delle camere d’aria grandi attaccate una con l’altra con delle corde. La corrente in certi punti è molto forte e noi gridavamo per il divertimento mentre le prime camere d’aria si alzavano con Sammy che quasi ci cadeva in testa. Ci siamo divertiti tantissimo facendo rafting e cantando la canzone ufficiale della giungla di Bukit Lawang!!! E’ stato memorabile!!!
Questi due giorni sono stati sicuramente una delle esperienze più belle di questo viaggio, in due giorni abbiamo visto 16 orangotango, dormito in un accampamento nella selva con i rumori della natura, con un buon gruppo di persone e due guide che abbondantemente hanno compiuto le nostre aspettative. Hendri e Visnu, sono guide eccezionali e persone stupende, se un giorno passate da queste parti vi lasciamo il loro contatto qui.
Berastagi, passeggiando nel cratere di un vulcano
Da Bukit Lawang a Berastagi fu un viaggio tranquillo nonostante dovemmo cambiare minibus a Medan. Non è difficile viaggiare per Sumatra, se il turista non sa bene dove andare, nessun problema, gli autisti lo sanno sempre ed alla fine si arriva sempre a destinazione senza nemmeno rendersi conto.
Berastagi è una città piccola con una quantità di traffico impressionante che non si ferma nemmeno di notte. Seguendo il consiglio del proprietario dell’ostello di Bukit Lawang, siamo andati direttamente in un ostello buono ed economico (anche se la doccia calda era a pagamento) che poi scoprimmo essere uno dei pochi luoghi per viaggiatori. Arrivammo con una bellissima giornata di pioggia e freddo tanto che per scaldarci un po’ abbiamo dovuto mangiare una minestra calda. Rachele iniziava già a pentirsi di essere venuta fino a qui.
A Berastagi non c’è molto da vedere, ciò che attrae i turisti sono i due vulcani Gunung Sinabung e Gunung Sibayak dove si può fare trekking. Il Gunung Sinabung tre anni fa eruttò e lo hanno appena riaperto. Il Sibayank invece è un vulcano che dorme e l’ascesa è più facile. Noi abbiamo scelto l’opzione più facile, cioè il Sibayak anche perché ci si può arrivare a piedi direttamente da Berastagi. Con la speranza che il giorno successivo fosse bel tempo (pioveva da quattro giorni) ce ne andammo a letto.
Per fortuna la giornata iniziò bene, c’erano delle nuvole ma si vedeva (o almeno speravamo) che non erano cariche di pioggia. Zainetto in spalla, macchina fotografica alla mano e dopo aver comprato un po’ di frutta e qualche cosa da mangiare partimmo alla conquista del vulcano Sibayak!
La prima parte del cammino dal paese fino al check point dove si paga l’entrata è asfaltata (fino a qui si può arrivare anche in minibus), poi si prosegue per una strada ancora asfaltata con alcuni tornanti per arrivare alla fine al punto in cui parte il vero e proprio sentiero. Non c’è nessuna indicazione di dove inizi il sentiero e ci mettemmo un po’ per trovarlo in mezzo alle piante. Alla fine lo prendemmo e una serie di scalini ci condussero fino al cratere del vulcano.

Nel cratere le persone si divertono a scrivere i propri nomi con le pietre ed il paesaggio è lunare.

La discesa è un po’ ripida e si vede chiaramente che tempo fa c’erano scalini che adesso sono parecchio distrutti. La prima parte della discesa è nella montagna mentre la seconda è immersa nella vegetazione, un po’ scivolosa ma nulla di complicato.
Alla fine del cammino di discesa ci sono delle piscine termali che ci facevano un sacco di voglia ma quando ci siamo rendemmo conto che la temperatura dell’acqua non era per niente calda, decidemmo di rientrare a Berastagi. Dovemmo aspettare un bel po’ prima di poterci fare una doccia calda perché non c’era elettricità.
Per festeggiare il nostro ultimo trekking la sera ci siamo mangiati un martabak (una torta salata fritta tipica di Java che abbiamo conosciuto a Jogyakarta) ed il giorno successivo abbiamo salutato Berastagi ed il suo freddo!! Andiamo al lago Danau Toba dove farà sicuramente più caldo!!!
Lago Toba; il lago vulcanico più grande del mondo
In molti paesi del Sud Est Asiatico spesso conviene prendere il trasporto privato che ti offrono negli ostelli e nelle agenzie dato che la differenza di prezzo con il trasporto pubblico è minima. A Sumatra non è così, il trasporto pubblico è 3-4 volte più economico di quello privato. Abbiamo deciso di viaggiare con trasporti pubblici anche se ciò significa viaggiare meno comodo; molto meno comodo.
Per arrivare al lago Toba da Berastagi, prendemmo un mini van fino a Kabanjahe e poi un altro fino a Pemanang Siantar questa volta eravamo stretti come sardine; c’erano un totale di 20 persone in un mini van che normalmente carica 14, faceva un caldo tremendo e come se non bastasse le persone fumavano dentro. Il fumare nei mezzi pubblici è la prima volta che lo troviamo ed è molto fastidioso sopratutto quando c’è tanta gente. L’ultima parte del viaggio fino a Parapat l’abbiamo fatta con un bus grande con un autista mezzo matto tanto che quasi abbiamo avuto un incidente perché in un tornante taglió la curva ad un autobus che veniva in direzione opposta. Un viaggio emozionante e stancante di quelli che si vivono in Asia. Non era il primo e non sarà l’ultimo.
Scendendo i tornanti verso Parapat potemmo ammirare l’immenso lago Toba e l’isola di Samosir davanti ai nostri occhi. Il lago Toba è il lago vulcanico più grande del mondo nel quale curiosamente si trova un’isola: l’isola di Samosir. Nell’attesa che la barca per l’isola, in concreto per la penisola di Tuk Tuk, partisse ci siamo resi veramente conto di essere tornati in Indonesia. Ascoltammo le parole magiche “Hello Miss” “Hello Mister”; dei ragazzi volevano farci un intervista e farsi fare delle foto con noi. Adesso in Indonesia sono le vacanze di inglese (le chiamano così) ed i ragazzi con gli insegnati vanno nei luoghi in cui si possono trovare i turisti e gli fanno interviste per praticare la lingua. Qualche intervista, un’enorme quantità di foto e molti sorrisi hanno reso l’attesa divertente.
img class=”alignnone wp-image-3554 size-full” title=”Los niños nos entrevistan” src=”https://www.surfingtheplanet.com/wp-content/uploads/2013/07/DSCN3608a1.jpg” alt=”Incontro con i bambini nei pressi del Lago Toba | Viaggio Indonesia” width=”996″ height=”664″ />
Alla fine arrivammo al nostro piccolo paradiso l’ostello Lekjon Cottage con stanze carine e doccia calda. La nostra stanza dava direttamente sul lago con una bella terrazza da cui contemplare questo meraviglioso paesaggio.

In questi giorni non abbiamo fatto grandi cose: ci siamo rilassati nella terrazza, fatto qualche passeggiata e mangiato un sacco!! In un batter d’occhio avevamo già individuato il nostro ristorante per la colazione con dei pancake buonissimi di banana e miele, un altro dove andavamo a mangiare i curry e il miglior posto dell’isola per mangiare pesce di lago ai ferri una cosa squisita! Così abbiamo anche trascorso il compleanno di Gábor con una buona cena ed un gelato come torta.
Una sera siamo andati a vedere uno spettacolo di danze tradizionali “Batak” (nome dell’etnia che vive in quest’isola). Ci siamo divertiti molto, uno dei cantanti sorrideva sempre e ci fece ricordare a Santor la nostra guida nel vulcano Bromo.
La cultura Batak non è solo musica e vestiti colorati, si ritrova anche nei tetti delle case un tetto altissimo con una punta. La maggior parte della popolazione dell’isola è cristiana e ci sono chiese ovunque.
L’unica giornata nella quale abbiamo fatto qualche cosa di più di rilassarci, abbiamo noleggiato un motorino. La giornata risultò più avventurosa di quello che ci aspettavamo. Partimmo abbastanza tardi la mattina forti del fatto che la strada principale è in buone condizioni. Ci fermammo al villaggio di Ambarita dove ci sono delle sedie di pietra dove gli anziani del villaggio si riunivano.
Facemmo uno spuntino in un ristorante lungo la strada che ci ispirò solo perché nel cartello c’era scritto Pizzeria correttamente. La pizza non era male. Arrivammo a Simanindo da dove si vede l’isola di Malau vicino alla costa; un’isoletta con palme. Pangururan è la capitale dell’isola e qui ci fermammo solo il tempo di mangiare qualche cosa. Da qui la strada principale inizia a costeggiare delle colline verdi che sembravano scolpite e campi di riso dorati. Uno spettacolo affascinante!!
Secondo la mappa eravamo a più di metà strada per fare il giro completo dell’isola e tranquilli del fatto che la strada era davvero buona, decidemmo di fare il giro completo calcolando di metterci altre due orette.
La cosa non andò proprio come ci aspettavamo, questa parte dell’isola è molto meno sviluppata, più o meno all’altezza di Orangrunnggu l’asfalto finì. Siccome stavano facendo dei lavori in strada pensammo che durasse poco ma dopo svariati km ci rendemmo conto che la strada era proprio così c’erano più buche che altro, ovviamente dovemmo andare lentissimi. Ad un certo punto la strada iniziò a salire per le montagne e per fortuna in questo tratto l’asfalto c’era. In cima alle montagne faceva un freddo becco che sembrava impossibile credere che solo eravamo a 100 metri di altitudine. Rientrammo che già era notte e l’ultima parte della discesa la facemmo di notte con una strada tutta buche e sassi. Meno male che Gábor è come Valentino Rossi ormai. Arrivammo all’ostello stanchi morti ma contenti dell’avventura!
Ci aspetta un viaggio lunghissimo fino al nord di Sumatra, l’isola Pulau Weh.
Pulau Weh: il nostro ultimo paradiso
A Sumatra ci sono varie isole, noi abbiamo scelto di andare a Pulau Weh chiamata dai locali Sabang. Non potevamo terminare il viaggio senza prima avere visto un’altra isola paradisiaca.
Da Parapat prendemmo una corriera fino a Medan, un bus locale fino alla stazione degli autobus di Pinang Baris e un bus fino a Banda Aceh. Dopo circa 24 ore arrivammo a Banda Aceh. Con un taxi arrivammo al porto per prendere la barca rapida per Pulau Weh. Finalmente con un becak arrivammo a Iboih, il luogo dove rimanemmo tutto il nostro soggiorno. A Pulau Weh non ci sono spiagge paradisiache tranne una che dicono essere molto bella dove però gli alloggi sono carissimi. Noi non siamo andati a vederla.
L’attrazione principale dell’isola è il suo mondo sottomarino. Le barriere coralline attorno all’isola sono considerate tra le più belle del mondo. Sia lo snorkelling che il diving sono spettacolari.
Grazie alla raccomandazione di Solly, nostro amico brasiliano conosciuto a Fiji, abbiamo alloggiato a Yulia Cottage in un bel bungalow con bagno in comune ed economico.
Il nostro soggiorno a Yulia fu più divertente di ciò che ci aspettavamo. Il personale è simpaticissimo e gentile e quasi subito abbiamo conosciuto Renzo e Carolina, due ragazzi cileni che vivono in Nuova Zelanda. Con loro abbiamo trascorso le giornate parlando, ridendo, facendo snorkelling e immersioni. Non avremmo potuto trovare compagnia migliore. Ancora una volta dobbiamo riconoscere che gli argentini e i cileni (anche se tra loro a volte non si amano molto) sono la migliore compagnia e i migliori amici che abbiamo incontrato viaggiando.
Abbiamo conosciuto anche Luca, un italiano molto simpatico che è proprietario assieme alla moglie Eva del ristorante Bixio dove Eva prepara la pasta fatta in casa, buonissima. Luca lavorava nel diving Lumba Lumba e ha dato molti consigli a Rachele relativamente alle correnti (questa zona è famosa per avere correnti abbastanza forti) dato che Rachele non è ancora un’esperta di immersioni subacquee. Alla fine Luca si mise in contatto con il diving e mise una buona parola affinché Rachele andasse a fare le immersioni in zona protetta; e così fu. Aveva un istruttore personale per lei e Renzo; meglio di così non si può desiderare. Li venivano perfino a prendere al bungalow.
Aggiornamento del 21/10/2019: siamo stati informati tramite un nostro lettore che Luca è venuto a mancare. Al momento non sappiamo se il ristorante sia ancora aperto o meno.
Di fronte a Yulia c’è una barriera di corallo dove lo snorkelling è molto buono in un’acqua trasparente dal colore azzurro intenso.
Dobbiamo dire che tutti i coralli, sia in Indonesia come in Malesia e Thailandia, negli ultimi anni hanno sofferto di un fenomeno chiamato “bleaching”. Per il riscaldamento dell’acqua molto corallo è morto. Un po’ alla volta si sta riprendendo ma il cammino è ancora lungo. Nonostante il “bleaching”, a Pulau Weh sono sopravvissute tutte le differenti specie di pesci e questo è già qualcosa di positivo.
Il corallo che ha sofferto di più è stato quello più in superficie, ad ogni modo facendo snorkelling abbiamo visto polipi, pesci leone enormi, nemo e una quantità di altri pesci. Rachele e Renzo hanno fatto due immersioni ed hanno visto murene, polipi, pesci scorpione, pesci leone, razze ecc… non male vero? L’immersione che più gli è piaciuta è stata quella alla Seulako Cave dove il corallo è bellissimo e c’è una quantità di pesci inimmaginabile.
Il venerdì, tanto per non rimanere sempre a rilassarci in terrazza, con Renzo e Carolina siamo andati nell’isola di Rubiah di fronte a Iboih. Si può andare a nuoto ma a metà strada ci sono delle correnti abbastanza forti. Noi siamo andati in barca. Siccome il venerdì è giorno di preghiera e fino alle 14.00 non si può fare nulla, nemmeno nuotare, siamo andati solo il pomeriggio. Abbiamo trascorso il pomeriggio facendo snorkelling e rilassandoci nella mini spiaggia che c’è.
Salutiamo questo luogo meraviglioso e andiamo a trascorrere l’ultimo giorno a Sumatra in un luogo molto toccato dalla recente storia: Banda Aceh. Questo però sarà il prossimo post.
Banda Aceh; l’eredità della peggiore catastrofe naturale dei nostri tempi
Alle 8 della mattina del giorno 26 dicembre del 2004, mentre la città di Banda Aceh si stava svegliando, la terra iniziò a tremare e per quasi 10 minuti non si fermò. Il secondo terremoto più forte mai registrato coinvolse la costa ovest di Sumatra e distrusse buona parte della città di Banda Aceh. Il peggio stava ancora per venire perché solo un’ora dopo il terremoto ci furono vari tsunami nella maggior parte dei paesi nella costa dell’oceano Indiano. A Banda Aceh l’acqua arrivò fino a 9 km dalla costa e solo in questa parte morirono più di 60 mila persone (quasi un quarto della popolazione della città).
Ricordando questo avvenimento e le immagini di questa tragedia, arrivare in questa città fa un certo effetto. Per fortuna gli effetti della tragedia si vedono appena nell’aspetto della città; la parte costiera che venne distrutta è stata ricostruita con il lavoro delle persone locali e l’aiuto di quasi tutti i paesi del mondo.
Con un becak fummo a visitare i punti della città dove si ricorda il tsunami. L’oggetto più emblematico è una barca da pesca di 20 metri che arrivò fino al tetto di una casa, non c’è bisogno d’altro per potere immaginare la forza delle onde.



Usciti dal museo ci siamo seduti nel parco vicino, dove ci sono sculture di ringraziamento a tutti i paesi che hanno aiutato ed un monumento di ringraziamento al mondo.

Per ultimo visitammo la moschea della città che miracolosamente rimase integra. Non lasciarono entrare Rachele nemmeno nel giardino. Sumatra è la regione musulmana più conservatrice di tutta Indonesia.
Rientriamo a Kuala Lumpur, ultima fermata prima del nostro rientro a casa.
PS: Il giorno dopo aver lasciato Banda Aceh ci fu un altro terremoto forza 6,1 a 50 km al sud della città. A Banda Aceh non ci sono stati danni gravi, solo tanta paura. Nella città dell’epicentro però molte case furono distrutte e morirono piú di 20 persone. Per fortuna lo abbiamo evitato perché ci avrebbe fatto moltissima paura viverlo.
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